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Il “Blocco” secondo Giuseppe

l blocco totale (quello che i fighi chiamano lockdown) è iniziato l’11 marzo 2020 da allora le attività chiuse sono diventate un costo.

Mi rendo conto che chiunque non sia del settore Parrucchieria-Estetica-Barbiery shop.. creda che siano negozi come tutti gli altri.. ma non è proprio così.

Queste aziende hanno da sempre un’enorme spesa dovuta all’uso del monouso e sterilizzazione in genere (non me ne vogliano gli altri), ma per esempio un centro estetico “standard” (2 lavoratrici) spende mediamente circa 3mila euro l’anno in monouso più il costo dei macchinari per la  sterilizzazione, igienizzazione e disinfettazione.

Questo rende i centri estetici, le parrucchiere e le barberie le aziende in linea con le ultime norme sanitarie da 10 anni a questa parte.

Ma allora qual’è il problema?

Il problema è che oggi ci sono 350.000 addetti, tra titolari e dipendenti, sono totalmente inermi e impotenti alle volontà del governo.

Questo governo ha fatto quello che secondo me è il solito errore, preservare i dipendenti ignorando gli imprenditori.

Ma andiamo per gradi…

L’11 marzo viene bloccato tutto e proprio in quel periodo i dipendenti hanno preso lo stipendio di febbraio (poniamo 1000 euro). Il blocco è stato  l’11 quindi ad aprile i dipendenti hanno preso lo stipendio dei primi 10 giorni di marzo.. ipotizziamo 330 euro.. il restante gli verrà dato o tramite cassa integrazione o, se non arrivano a fine mese tramite anticipo della loro banca fino a 1400 euro (l’inps pagherà a loro).

Un dipendente dall’inizio del blocco ha incassato oltre 2000 euro.

Adesso facciamo tutto lato imprenditore…

i primi del mese di marzo paga lo stipendio di febbraio al dipendente e i suoi contributi (circa 1400 euro), ovviamente paga anche l’affitto o il mutuo, ipotizziamo 700 euro, di febbraio (che viene pagato i primi di Marzo) e quello di marzo (che viene pagato i primi di Aprile) poi gli viene bloccato tutto e gli promettono 600 euro.

Passa parte del mese di marzo cercando il modo di bloccare i propri finanziamenti e scopre che se ha delle cambiali dovrà trovare i soldi per pagarle, perché lo stato non ha pensato a tutelare le aziende dalle cambiali e dai noleggi operativi.

Ad aprile paga i 330 euro di marzo più i contributi e arriva a circa 550 euro. A questo punto gli arrivano i 600 euro e con essi anche le bollette di luce, gas, telefonia e acqua (ipotizziamo in tutto 700euro).

Un imprenditore si trova a sborsare PER I PRIMI DUE MESI, con il negozio chiuso, 4050 euro di spese e lo stato gli da 600 euro (è vero, il 60% dell’affitto viene restituito tramite F24, ma comunque lo deve anticipare)

Ma allora scusate, ma chi è la fascia debole? L’imprenditore o il lavoratore?

Probabilmente chi siede comodamente sugli scranni del potere, a Roma, è davvero contento e felice di quel che ha realizzato, tanto da concedersi felici dormite affrancato dall’aver fatto cosa buona e giusta e dall’aver aiutato tante famiglie a non patire la fame… Ma quante aziende riusciranno a ripartire a fine blocco?

“Ma che dici? Possono chiedere il prestito!”

A parte che non ci sono ancora i decreti attuativi e quindi non si può fare ancora nulla, perché un imprenditore con un po’ di sale in zucca dovrebbe indebitarsi senza conoscere il mercato che si riaprirà a breve?

In questo periodo di inattività ci sono stati dei cambiamenti di abitudini, alcuni spariranno, ma altri rimarranno. Un esempio?

– quanti di voi hanno iniziato a fare il pane in casa? La pizza in casa? I dolci in casa?

– quanti un voi hanno iniziato a fare riunioni tramite video chiamata? Avete intenzione di proseguire?

Nel frattempo arrivano in scadenza le utenze, i fitti (con un credito d’imposta al 60% che non tutti potranno ottenere perché non tutti i locali sono accatastati come C/1), le rate dei finanziamenti, le Ri.Ba. e gli assegni ai fornitori, le rateizzazioni per qualche imposta pagata in ritardo. E non stiamo ancora parlando delle spese per sopravvivere e per sfamare la famiglia.

Quando si potrà riaprire?

Per il momento circolano solo voci su voci e, quella più accredita parla del 25 maggio 2020 come “possibile” data di riapertura, salvo complicazioni durante le settimane precedenti.

Al 25 maggio sono quasi 75 giorni consecutivi di chiusura SENZA ALCUN AIUTO DA PARTE DI UNO STATO CHE NON VEDE OLTRE IL PROPRIO NASO.

Il fatto di non avere alcuna certezza (tranne il fatto che le cose ce le diranno all’ultimo minuto), comporta il fatto che non ci è possibile neanche programmare una riapertura.

E i Clienti??

“Cercano in ogni modo di trovare soluzioni abusive, anche a domicilio, scavando tra gli artigiani più disperati che pur di guadagnare 10€ rischiano multe salatissime e denunce penali”

E alla riapertura come andrà?

Questo è il vero punto dolente, sia per le titolari che per le dipendenti.

I problemi sono molteplici, pare che i clienti nelle attività non più grandi di 40mq (in un barbiere in quei mq ci lavorano in 4), dovranno ricevere un solo cliente per volta, su appuntamento, senza se e senza ma. 

Per i locali più grandi dovrà essere garantita una distanza minima di 2mt tra un cliente e l’altro (mentre l’interasse medio tra due postazioni lavoro in Italia è di circa 1,4 metri), quindi salterà una postazione ogni due in media. 

Che fine faranno i piccoli saloni?

Questo significa che tutti gli acconciatori ed estetisti con saloni piccolini, dovranno lasciare a casa tutta la forza lavoro a tempo indeterminato.

Cioè, fino al 30 settembre non potrà essere licenziato nessuno, per buona pace degli imprenditori che dovranno accollarsi la dipendente inutilizzata per mesi.. (loro sperano ad un rinnovo della cassa integrazione fino a quella data… ma visto il comportamento del governo, non so!).

Quindi i dipendenti “inutilizzabili” saranno ancora coperti dalla cassa integrazione?

Forse.

Ma che ne sarà di tutti gli incassi mancati?

Che fine faranno tutti i clienti che non potranno essere serviti per mancanza di personale? Cercheranno saloni più capienti dove poter trovare posto più facilmente, si faranno le cose fra amiche, andranno da quelle in nero che non hanno di questi problemi.

Che fine faranno i saloni più grandi?

Può sembrar strano ma i più colpiti da queste restrizioni sicuramente saranno i saloni o gli istituti più strutturati.

Le “aziende vere e proprie” con 1-2 receptionist, un team di 10-15 persone (in alcuni sono molti di più) con magari digital marketer o social media manager interni. 

Saloni così grandi hanno affitti o mutui davvero importanti e sopravvivono grazie al lavoro di tutti ma, soprattutto, grazie a quello di coloro che mettono le mani sulle clienti (differenza tra il loro stipendio e quanto fanno incassare con i loro servizi al salone). 

Questo primo margine viene utilizzato per pagare la struttura e per stipendiare il team manageriale, appunto receptionist, marketing team e (sembra strano ma è una casistica assolutamente reale) gli stessi titolari del salone.

Dimezzare il personale, dopo quasi due mesi di chiusura, equivale a decretare il licenziamento in tronco di tutto il personale non indispensabile e a rendere insostenibili i costi di una struttura pensata per ospitare il doppio del personale e il quadruplo della clientela.

Perché il doppio dei dipendenti può servire il quadruplo della clientela? Non è una magia e non è un miracolo. E’ pura matematica. 

Come potranno sopravvivere gli acconciatori e gli estetisti?

In realtà lo scenario è davvero molto preoccupante e le soluzioni possibili per evitare la catastrofe sono pochissime…

  1. lo Stato deve farsi carico dei mancati incassi dovuti alle restrizioni, risarcendo gli artigiani in maniera congrua e misurata. Gli oboli non servono a nulla, se non ad umiliare una categoria già vilipesa a sufficienza. 
  2. Tasse e Contributi devono essere azzerati per molti mesi.
  3. Le limitazioni devono essere assolutamente riviste in quanto totalmente fuori luogo rispetto a quelle adottate dagli altri paesi europei e non. 
  4. I fornitori, soprattutto quelle multinazionali che per anni hanno lucrato sulle spalle degli artigiani con fatturati miliardari e utili da capogiro per gli azionisti, dovranno rivedere le loro politiche commerciali diluendo i periodi di dilazione pagamento e offrendo servizi formativi gratuitamente.

Senza queste azioni, con grande probabilità, una buona parte delle partite iva del settore soccomberà finendo per cambiare totalmente lavoro (ma quale?). 

Sembra uno scenario apocalittico, ma è esattamente ciò che sta succedendo a migliaia e migliaia di artigiani.

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